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La piccola bottega di universi paralleli non vuole essere altro che il posto dove dare sfogo alla fantasia e alle visioni che la mente, a volte, scaturisce.
Personalmente scrivo storie, favole per i piccoli e per i meno giovani.
Sentitevi a casa vostra e curiosate pure ovunque; nel retro bottega troverete recensioni di film, libri, ma anche video e link sul mondo della fantascienza e dell'horror.

A chi abbia la volontà di sostare e leggermi, va il mio ringraziamento.
A chi vorrà aggiungere commenti o suggerimenti, la mia amicizia.

A tutti quanti il mio più cordiale benvenuto.

lunedì 18 ottobre 2010

Piccola bottega di universi paralleli

C’era una volta una piccola sonda spaziale che, lanciata per esplorare il cosmo, raggiunse tutti i pianeti attorno al Sole. Osservò le desolate lande rossastre di Marte, il gigantesco Giove percorso dal suo perenne uragano, Saturno e gli spettacolari anelli, Urano e Nettuno nascosti dalla loro atmosfera bluastra. Superata l’orbita di Plutone, diventò la prima sonda terrestre ad oltrepassare i confini del sistema solare.
Durante tutto il suo viaggio continuò ad inviare sulla Terra le foto e i dati di tutte le meraviglie che incontrava sul suo percorso. Un giorno però raggiunse una distanza tale da non riuscire più a comunicare con gli uomini che l’avevano creata.
Voyager, così si chiama la nostra sonda, proseguì in solitudine il suo viaggio nel vuoto dello spazio.
Il freddo interstellare congelò il metallo con cui era costruita mentre la luce del Sole, ormai un puntino lontano solo un po’ più luminoso delle altre stelle, era divenuta così flebile da non riuscire a caricare le batterie della sonda che, presto, si esaurirono completamente. In quel istante, Voyager, smise di funzionare.
Sospinta nel suo volo dalla forza inerziale impressagli il giorno del lancio, e incrementata strada facendo dalla gravità dei pianeti, continuò, sebbene ridotta ad un inutile ammasso metallico, il suo viaggio.
Percorse molti anni luce di distanza e, quando le ultime stelle dell’universo si spensero esaurite le loro riserve d’energia e tutto calò nel buio più profondo, Voyager continuava il suo percorso interminabile.
Per moltissimo tempo tutto fu null’altro che gelide tenebre.



















Una musica accompagnata da un piacevole tepore; così si svegliò, accarezzata dalle dolci note di un valzer. Timidamente Voyager attivò il piccolo obiettivo rosso della sua telecamera e iniziò a guardare attorno. Dapprima le immagini le risultavano sfuocate ma, abituandosi alla luce dopo tanto tempo trascorso nell’oscurità, presto fu in grado di distinguere ogni cosa.
Si trovava in una stanza che, al posto delle pareti, aveva grossi alberi le cui chiome s’intrecciavano fitte formandone il soffitto. Le radici, che fuoriuscivano dal terreno sporgendo in varie forme e altezze, andavano a formare le sedie e le tavole che ammobiliavano la stanza; in un angolo, i fusti degli alberi, s’aprivano formando una grossa cavità dove un tremolante fuoco verde-azzurro illuminava e riscaldava la stanza, senza bruciare alcunché. I nodi sui tronchi e i rami più bassi formavano dei ripiani e delle nicchie dov’erano disposte moltissime ampolle e bottiglie di vetro.
Vicino allo strano fuoco, su una grossa radice a forma di poltrona, stava comodamente sonnecchiando un vecchietto dai capelli bianchi e dalle mani callose. Cullato dalle note del valzer, quando la musica terminò, il vecchietto aprì gli occhi lucidi e, sbadigliando, si rivolse alla pallida luce rossa della telecamera di bordo della sonda.

“Ben svegliata, Voyager” disse il vecchietto con tono di benvenuto “è da quando ti ho riparata, dopo il tuo maldestro atterraggio, che aspetto il tuo risveglio.”
Voyager ci mise un po’ di tempo a capire quelle parole ma, sbalordita, si scoprì capace di pensare ed esprimersi: “Riesco a sentirti… riesco a rispondere… com’è possibile? Non ricordo d’aver mai pensato o parlato fino ad ora!”.
“Non preoccuparti, ti ho riparata col mosto di uva Kikka. Quell’uva fa cose straordinarie, come guarire e dare coscienza… credo anche abbia modificato la tua struttura per permetterti di parlare.”
Il vecchietto si alzò stiracchiandosi, mentre la radice-poltrona, con movimento fluido e calmo, sparì infilandosi sotto il suolo; poi aggiunse:
“Ne ho usato di quel mosto! Ho innaffiato anche gli alberi che vedi qui attorno col succo di uva Kikka; sono coscienti d’esistere e mi ricambiano la cortesia accudendomi e facendomi da casa!”.
Elettrizzata per quelle novità, ma ancora un po’ stordita dal risveglio, Voyager cercò risposte alle curiosità che guizzavano nei suoi processori: “Che posto è mai questo?”.
Il vecchietto, allungò l’indice nodoso ad indicare una scritta incisa sopra la porta; si schiarì la voce e, solennemente, lesse: “ - Piccola bottega di universi paralleli – Questa, mia cara, è la mia cantina, il mio laboratorio, la mia casa. Sono un vignaiolo e, su questo pianeta, coltivo viti con proprietà speciali come l’uva Kikka. Il vino che ne ricavo lo conservo qui: per berlo e offrirlo ai miei ospiti.”
“E ricevi spesso visite?” cercò d’indagare Voyager.
“Ultimamente nessuna… tu sei la prima che mi fa visita da un sacco di tempo! Eppure non molto fa, la mia bottega era molto frequentata.”
“Da dove proveniva la musica di prima?” chiese ancora la sonda.
“Ah, è vero: il valzer! Credevo fosse l’effetto di un bicchiere, con una miscela di vini, bevuto dopo averti riparata. Nella miscela c’era anche l’uva Mica che realizza i sogni più fantasiosi, ma poi ho scoperto che eri tu a raccontare storie e musiche… mentre dormivi” disse il vecchietto un po’ stupito della domanda.
“Io? Il disco d’oro! Me l’ero dimenticato…” s’illuminò Voyager.
“Il disco d’oro?” fece eco il vecchietto.


“E’ un supporto che ho dentro la mia struttura, dove sono incise le musiche, le voci e le storie delle persone che mi hanno creato… vuoi ascoltarlo?” chiese contenta di poter contraccambiare l’ospitalità del vecchio la sonda.
“Ti ringrazio, ma non è necessario…” rispose il vecchietto, “Ho ascoltato tutta la tua registrazione mentre sonnecchiavo; ho visto tutto del mondo da cui provieni: dalle origini del pianeta all’epoca in cui sei stato creato. Ho provato tristezza per le malvagità commesse dall’umanità, ma ho anche pianto dall’emozione per le grandi prove d’amore che ha saputo compiere. Ho riso per le loro felicità e riflettuto sulle domande della loro coscienza. Una storia a dir poco interessante e complessa, come poche ne ricordo. Sono contento d’averla ascoltata dopo un buon bicchiere!”.
Voyager stette in silenzio qualche minuto per riordinare idee. Poi, timidamente, obbiettò: “Non ho così tante informazioni, come tu racconti, nel disco d’oro!”.
Il vecchio restò in silenzio, guardandosi i piedi scalzi mentre accarezzavano il morbido suolo coperto da un fitto muschio violaceo. Al prolungato silenzio del suo interlocutore, Voyager incalzò: “Hai detto che l’uva Mica concretizza i sogni di chi la beve… vuol dire che ora ricomincerà una nuova storia dell’umanità come tu l’hai sognata?”
Il vecchietto nascose un certo imbarazzo con un colpetto di tosse; guardò distratto il fuoco azzurro scoppiettare nel caminetto e, con calma, iniziò a rispondere:
“L’uno è il tutto: pur condividendo le poche informazioni in te contenute, l’uva Kikka, contenuta nella miscela di vino, mi ha permesso di ricostruire l’interezza della storia dell’uomo. E’ un po’ come la musica: nella singola nota è contenuta tutta l’armonia… l’effetto dell’uva Mica ha poi concretizzato realmente la storia, ma non una nuova: quella che tu mi hai raccontato!”.
Voyager, eccitata dai pensieri logici che le riempivano l’elettronica interna, concluse, cercando conferma dei suoi ragionamenti: “Ma allora, tu sei… Dio?”.
 A quella inaspettata domanda, il vecchietto sgranò gli occhi sbalordito:
“Dio? Non credo… amministro solo la piccola bottega degli universi paralleli, facendo e conservando del vino speciale… per me e per i miei ospiti…”.

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